TORNA UN ALTRO CAPITOLO DEL PROGETTO SOCIAL LANCIATO DA WAIT! E SHOPENAUER
#whatisfashion? La moda attraverso i concetti di filosofi e sociologi. Un’altra puntata si inaugura qui, tra le pagine liquide del web, dopo che gli eruditi hanno speso – per fortuna – pagine di inchiostro al fine di consegnarci il loro punto di vista sulla politica, l’economia, le religioni e le scienze. Quantunque anche il settore chiamato oggi del fashion. L’ultima puntata ha visto come protagonista il pensiero di Émile Durkheim, sociologo francese. Quella di oggi introduce un suo omologo, ma tedesco: Georg Simmel.
La moda. È il titolo di un saggio vero e proprio che Simmel dedica all’argomento. Viene da pensare che doveva tenerci sul serio a questo mondo. Bisogna anzitutto tenere presente che l’autore ha vissuto nella seconda metà dell’Ottocento: nasce a Berlino nel 1858 e muore a Strasburgo nel 1918. Una vita breve, tuttavia piena di sollecitazioni intellettuali. Il contesto in cui nasce – nonostante la Germania non fosse proprio una nazione, per così dire, glamour – è quello di una società alle prese con le nuove tecnologie, la nascita delle industrie e, di conseguenza, di una classe sociale prima di allora poco conosciuta: la borghesia. Un tipo – giusto per rinfrescare Durkheim – con la necessità di una vita pratica. Anche per quanto riguarda l‘abbigliamento.
SIMMEL E LA MODA: QUANDO L’OMOLOGAZIONE NON PUÒ ESISTERE SENZA LA NECESSITÀ DI DISTINGUERSI
Si è abituati a tenere presente o il bianco o il nero. Il bene e il male. La massificazione dei gusti da quelli di nicchia, per pochi. Ebbene, il sociologo tedesco tenta di rispondere alla domanda #whatisfashion? proponendo una via di lettura differente. Infatti, spiega che il bisogno di conformità e il bisogno di distinguersi, sono imprescindibili affinché la moda esista.Definisce il rapporto (apparentemente contraddittorio) tra uniformità e differenziazione. In poche parole, la necessità di essere parte di un gruppo e quella, al tempo stesso, di emergere come unicum tra tanti.
Concetti coraggiosi, ma non tanto distanti dal nostro spirito del tempo. Certamente il livello di gusto – stile – è simile per molti, altrimenti ci sentirebbe persi; dai, lo si dica, degli sfigati. Al contempo sta emergendo il valore umano del di chi rappresenta agli occhi degli altri qualcosa di diverso. Non un tipo, bensì un essere unico. E questo anche grazie alle campagne sui social, in cui le maison scelgono testimonial lontani dai canoni a cui hanno fatto riferimento negli anni ’90.
Sarà, quella di Georg Simmel, la strada maestra per venire a capo della moda #whatisfashion? Pare proprio di sì. Forse è anche auspicabile, giacché sarebbe impossibile interpretare la società in un dato momento se tutti agissero e si presentassero in modi (e abiti) completamente differenti. Più che la moda lo spiega bene la storia dell’arte questo processo: il gusto (neo)classico, (neo)gotico, barocco, veneziano o fiorentino; oggi funzionale o minimal. Si tratta di tendenze che ognuno dovrebbe adattare a sé, a seconda del proprio vivere, del contesto. E, immancabile, dell’eleganza.
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