Non è la prima volta. Una rissa davanti al NikeLab ST 18 di Milano si è già verificata per il lancio del modello Air Force 1, lo scorso 19 dicembre. Non sorprende dunque molto quello che succede tra la scorsa notte e ieri mattina, quando altri tafferugli tengono banco tra le persone, in fila da notte fonda, per aggiudicarsi un paio delle nuove AirMax 90 firmate Nike. Tra Via Moscova e Via Statuto, in pieno centro città, sono – sostiene la cronaca – in centinaia a voler acquistare l’oggetto in questione, per la cifra di centosessanta euro. Per poi rivenderlo. Sì, l’obiettivo, infatti, non è quello di comprare e indossare le sneaker ma quello di rivenderle. Un fenomeno noto come reselling.
‘La gente non è a posto’, direbbe qualcuno. Lo shopping è un momento di svago, di gioia; persino di perdizione, per alcuni. Ma enfatizzarlo fino a questo punto è troppo. Non si possono distruggere semafori, chiudere fermate della metropolitana, come, in questo caso, quella di Via Moscova e impiegare numerosi uomini delle forze dell’ordine, i quali avrebbero – si spera, perché altrimenti allora tutti i rischi circa terrorismo e compagnia sarebbero solo una barzelletta – questioni più urgenti da monitorare, solo per un paio di scarpe. Iconiche o meno, a un prezzo ribassato o no.
L’innocenza non passa da qui, evidentemente. Il j’accuse vale per tutti: dal marketing dell’azienda americana, fino ai fan-reseller accampati fuori. Sono le regole del mercato, della globalizzazione. Del soldo, il cui potere è, erroneamente, ritenuto alla portata di tutti. In realtà è in mano a pochi. La moda continua così a mietere le sue vittime, peccato che non siano coloro che inveiscono contro le vetrine con i loro braccialetti gialli, assegnatigli dai poveri commessi, in piedi all’alba per placare gli animi. Piuttosto i veri perseguitati sono, come al solito, i cittadini, appena svegli, ancora memori del caldo tepore del proprio letto.
L’evento, in realtà non poi così plateale, è però simbolico, poiché rappresenta quello che molti di noi sarebbero disposti a fare per avere un oggetto, anche di scarso valore, magari realizzato in paesi del terzo mondo, da donne e giovani ragazzi sotto pagati, lavoratori in nero e in condizioni terribili di igiene e sicurezza. Ricorda un po’ le code davanti ai negozi H&M, catena fast fashion con un modus operandi molto simile a Nike, quando lancia le collaborazioni con case di moda quali Versace o Victor & Rolf. Di una tristezza infinita.
Photo: La Presse
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