La prima cosa che si sente è la techno.
La seconda cosa che si vede sono dei passi veloci, ma non toccano per terra. Sembrano volare, fluttuare. Su una nuvola, cos’è? È soffice, questo si vede, o meglio: si “sente”. Sembra che affondino quei passi, leggeri ma veloci su un pavimento fatto di nuvole. Tutto un indice preciso di quella tendenza un po’ surrealista di quel genio belga chiamato Raf Simons: tu prendi una sala, compri chilometri di tessuto e poi la rivesti, ed ottieni così un posto che non è più quel posto che era. Ma è una cosa nuova, che non si sa cos’è.
È avvezzo a queste trovate lo stilista, lo avevamo già visto quando, per la prima volta, aveva fatto completamente rivestire le pareti della locations della sfilata Couture di Dior nel 2012 con un milione di orchidee. E lì, tra quelle orchidee (splendido omaggio al couturier Christian Dior che, la sera prima del suo debutto, fece recapitare al domicilio dell’industriale tessile Marcel Boussac, che aveva creduto in lui investendo 60 milioni di franchi, un mazzo di orchidee bianche e nere), l’hotel non era più un hotel. Raf Simons usa questo escamotage, per trasportarti in un luogo onirico, a metà tra sogno e realtà.
Ma, se è vero che ogni centimetro di terra era in realtà voluttuosa moquette, è anche vero che il monocromo è il simbolo dell’eterna classicità rivoluzionaria (perdonatemi l’ossimoro, ma come la spieghi una donna che realizza un perfetto completo sartoriale e arriccia le maniche fino a farle quasi sembrare maniche corte di una giacca?) di Miuccia. Rosso, viola, bianco, azzurro: a contrasto, come d’altronde lo è il duo di stilisti. Forte contrasto nel colore, nella lotta tra classico e moderno, tra rigido e rilassato, forte contrasto tra fantasia e monocolor.
Poi ballano. Nelle stanze dislocate, i ragazzi ballano. Ballano la musica techno di Richie Hawtin e non è un caso se Miuccia Prada nella conversazione finale dice: “Viviamo da mesi in una bolla”. Noi, come lei, quella bolla la sentiamo semplicemente guardando ed ascoltando: sta in ogni stanza, vuota, in ogni istante di quella musica ovattata, con i suoi bassi profondi. Percepiamo il senso di solitudine di quei ragazzi che camminano veloci in quello spazio senza senso, vuoto ma opprimente: lavoro magistrale di uno degli architetti (ma mi sento di dire soprattutto saggisti, consigliando la lettura di Junkspace e promettendovi un radicale cambiamento nella modalità di vivere le spazio che avete attorno) più promettenti del nostro secolo, Rem Koolhaas, che da anni collabora alla realizzazione delle scenografie delle sfilate di Prada.
Il pezzo forte non si fa attendere troppo: un ragazzo alto e snello, dai capelli anni settanta (ormai potremmo definire il 2020 e il 2021 come i figli minori degli anni ’70, che da lui rubano tutto senza chiedergli niente), indossa una tuta di lana sottile che come un guanto avvolge il corpo. La chiamano Long John ed è l’essenza di quel mix assurdo che ci ha regalato il coronavirus, un mix continuamente in bilico e perso tra la voglia di vestirsi e l’impossibilità di rinunciare ormai alla comodità dell’abbigliamento da casa. Anche noto come ‘il pigiama’.
«Cercavamo qualcosa che fosse intimo, tattile, che abbracciasse il corpo ma che non lo nascondesse», spiega Simons.
Tra i pezzi più intraprendenti annotiamo anche i bomber oversize, indossati sopra ulteriori cappotti lunghi a fantasia e le stampe tipiche della maison che, qua e là, si fanno notare su leggings maschili.
Ma l’operazione che mi è parsa più evidente, e anche quella che apprezzo di più personalmente, nella sfilata maschile FW 2122 è probabilmente quella fatta sullo styling, matchando ogni singolo capo ad un altro in un modo poco banale e affatto scontato. Sembra banale dirlo? Mi capita sempre più raramente di vedere passerelle in cui, oltre all’indubbia bellezza estetica di qualche singolo capo, ci sia una riflessione più ampia, che regala al pubblico anche un vero sapore del brand.
Prada non è Prada perché è adorabile quella borsa in nylon così semplice eppure così chic. Prada è Prada perché indossare quella borsa chic, nera, in nylon vuol dire essere una donna contemporanea, decisa, dal passo svelto per strada. E questo è un mood: quella borsa, che ora è solo un esempio, non riesce nello scopo se tutto il resto della persona non corre con lei al raggiungimento dello stesso obiettivo. Quindi ben vengano le passerelle in cui oltre allo stile c’è anche lo styling, l’ottimo strumento che trasmette agli spettatori del grande show della moda l’attitude di una maison. Avevate mai pensato di indossare un bomber con fodera stampata ad un cappotto lungo, unendo il tutto ad una tuta che osa con un’altra stampa audace? Io no. Lo farò? Non penso, ma oltre a me sono sicura che qualcuno là fuori guarderà il look e penserà “Non ci avevo mai pensato, potrei farlo domani”.
Alla fine della sfilata i due stilisti hanno proseguito poi con la loro tradizione, fondata nella prima sfilata di debutto del duo: una conversazione con il pubblico, fatta da giovanissimi esperti del settore, ancora studenti. Vista la vicinanza di Simons alle subculture e al mondo giovanile ed il risultato ultra-moderno ottenuto dalla riflessione Prada-Simons era lecito che il dialogo fosse proprio con i ragazzi della più recente generazione. La domanda più interessante? Come affrontano i conflitti.
È qui che Miuccia dà prova di una maturità artistica quasi entusiasmante, risponde: era il conflitto che cercavo.
Dallo scontro, quindi, nasce la forma.
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