C’era una volta un’autore americano di nome James Baldwin che nel 1953 pubblicò il saggio “Stranger in the Village” in cui parlava della sua breve esperienza come artista afroamericano omosessuale in un villaggio svizzero. Soffermandosi per un attimo sul paragone con la sua vita negli Stati Uniti, arriva ben presto alla triste consapevolezza di essere lui stesso uno straniero indesiderato nel suo paese, nella sua casa. L’uomo nero della diaspora, erede dello schiavismo americano che, ancora oggi a distanza di tempo vive in un mondo creato ad immagine e somiglianza di una visione eurocentrica e bianca.
Sulle basi di questa premessa bisogna dunque chiedersi quando cesseranno di esistere quei pregiudizi, quei concetti precostituiti secondo cui un determinato abito rispecchia un determinato ruolo e dunque un determinato profilo sociale? Chi ha il diritto di essere artista e bisogna necessariamente vestirsi da tale per esserlo? Vale ancora il credo secondo cui l’abito fa il monaco? Ma soprattutto quand’è che la popolazione nera conquisterà un posto alla pari?
Rispondere a queste domande e parlare di inclusione all’interno di un sistema così elitario ed esclusivo come quello della moda, è paradossale. Eppure Louis Vuitton per la nuova collezione menswear Fall Winter 2021/22 tenta l’ardua impresa. Quattro archetipi vengono posti al centro dell’attenzione: l’artista, il venditore, l’architetto e il vagabondo.
Potrebbero inizialmente sembrare i protagonisti di una barzelletta ma in realtà sono solo i voti di un sistema corrotto, falsi miti che nel tempo la società ha creato. Obbiettivo del designer Virgil Abloh è infatti svestirli e smascherarli della loro presunta eternità e purezza, reinventare nuovi codici di abbigliamento legati a determinati ruoli e professioni, ma soprattutto i valori umani a loro associati per una felice coesistenza delle diversità.
Da qui il saggio di James Baldwin viene trasportato nello show diventando un leit-motiv per l’intera collezione. La sfilata si apre su un paesaggio innevato con il rapper Saul Williams che recita una narrazione. Successivamente si entra in un edificio minimalista, il Tennis Club de Paris in cui si ergono strutture in marmo verde per poi trasformarsi in una stazione in cui i modelli camminano o aspettano seduti, confondendosi tra di loro.
Crediti: Saul Williams
Una preponderanza di sartorialità e streetwear si fa strada con abiti in plastica o stampe effetto marmo, imponenti soprabiti in coppia con cappelli fedora e stivali in stile cowboy. Bomber e felpe con gli aforismi dell’artista Lawrence Weiner ( You can tell a book by its cover o The same place at the same time) si alternano ad accessori decorati con il motto “Tourist vs Pourist”, in onore agli outsider.
A seguire capi metallici rifiniti dai monogrammi specchiati LV, pezzi scultorei come una giacca che rappresenta i più antichi monumenti francesi ed una borsa a forma di aereo, ed ancora il panno Kente di origine ghanese che appare ora declinato in tartan, confondendo anche le più antiche tradizioni.
Più che una sfilata sembrerebbe una vera performance che, attraverso la moda, la poesia e la scenografia, ci invita ad una nuova normalità priva di disuguaglianze di genere, razza e sesso. Guardando fino alla fine il video della collezione, appare dunque inevitabile concedersi un istante e porsi una domanda: Chi posso essere davvero? Chiunque tu voglia, sembra dirci Virgil Abloh.
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