Buttate via tutto: cappotti, fake fur, caban, trench e tutti gli altri capi-spalla che il genio creativo della moda ha contribuito a imbastire nei secoli. Sì, perché nel caso non ve ne foste accorti è il kimono a essere in voga, e non solo nella stagione autunnale appena cominciata. Lo sanno bene Elisa Soldini e Lucia Padrini, fondatrici di Kimonorain, brand nato nel 2017, che ha spopolato all’ultima edizione di White, durante la Settimana della Moda di Milano.
Dopo appena tre collezioni il marchio è riuscito ad attrarre buyer e stampa, oltre che donne dal fascino senza tempo come Benedetta Barzini, la quale ha visitato entusiasta lo stand delle due designer. Ma non è l’unica. Infatti, per via della foggia unisex, benché declinata in diversi tessuti, lunghezze e colori a seconda della stagione, lo spazio occupato da Soldini e Padrini ha accolto alcuni giovani street-wear addicted per provare la vestibilità dei loro kimono.
Si sa che una fiera dedicata all’abbigliamento può accogliere diversi stili, codici. È quindi pressoché normale imbattersi in altre aziende che producono il capo tipico della tradizione orientale, soprattutto giapponese. Ma è altrettanto vero che se questi ultimi lo fanno secondo il loro gusto personale, Kimonorain lo esprime attraverso un concetto: concentrarsi su un prodotto unico ed elaborarlo come solo le imprese made in Italy sanno fare. Ragione per cui ogni dettaglio è sviluppato e fatto nel nostro Paese.
«Al tempio c’è una poesia intitolata “la mancanza”, incisa nella pietra. Ci sono tre parole, ma il poeta le ha cancellate. Non si può leggere la mancanza: solo avvertirla.» Dice così il personaggi di Sayuri Nitta nel film del 2005 Memoria di una Geisha. Parrebbe esagerato dire che al settore moda manchi una realtà come quella di Soldini e Padrini; piuttosto questa potrebbe essere presa come esempio sensato, per riflettere sul fatto che l’intero sistema manchi di un nuovo modo di concepire i prodotti, di leggere in maniera alternativa quello che viene indossato. Forse è per questo che sta collassando, se brand nati e affermatisi in Italia devono essere venduti a marchi stranieri. E questo lo si avverte, eccome.
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