La storia del denim e ciò che può insegnarci
Il jeans è rottura, ribellione, giovinezza. Per questo motivo ti chiedo di riflettere su di te, prima di acquistarlo. Non si tratta di quanti anni hai, e no, non c’è un’età giusta per il jeans e un’età sbagliata.
Ciò che indossiamo parla di noi, di chi siamo e di chi vogliamo diventare, la moda è espressione del nostro tempo, come la nostra moda deve essere espressione di noi stessi.
“Ho detto spesso che avrei voluto inventare io i blue jeans: il capo più spettacolare, più pratico, più rilassante e informale. I jeans hanno espressività, sex appeal, semplicità, tutto ciò che io auspico nei miei vestiti.” Yves Saint Laurent
Come le storie più belle, anche quella dei jeans è fatta di ingegno e casualità.
Prima di introdurre l’origine di questo iconico capo è bene partire dal significato del termine.
La parola Jean risale al XIX secolo e deriva dalla storpiatura di Gênes, termine utilizzato in francese per indicare la città di Genova, dalla quale deriva il primordiale nome di questo tessuto: tela di Genova.
L’invenzione del jeans non è americana, come spesso si pensa, bensì italiana.
Tutto nasce grazie alla richiesta speciale di una donna, la quale chiede al sarto Jacob Davis di realizzare dei pantaloni resistenti per il proprio marito. Un taglialegna.
Il pantalone è resistente e comodo per svolgere mansioni pesanti. I lavoratori non potrebbero chiedere di meglio.
Da dove arriva questo nuovo tessuto?
Il cotone gioca un ruolo fondamentale nella nascita del jeans. Nel XII secolo si diffonde in Europa sostituendosi al lino per via della sua maggiore resistenza e una maggiore brillantezza nei colori. Dopo varie lavorazioni di finissaggio viene creato un filato che prende il nome di fustagno, poi rinominato denim (dalla città francese de Nimes luogo in cui il tessuto veniva prodotto). Il tessuto pratico e resistente per eccellenza.
La fortuna di questo capo è proprio la città natìa: Genova, nonché il principale porto del mediterraneo, in diretto collegamento con gli Stati Uniti.
Con le grandi emigrazioni, intorno all’ ottocento, la tela blu di Genova arriva in America grazie all’imprenditore Levi Strauss, dove viene utilizzata per creare abiti da lavoro per i minatori, venduti in uno shop a San Francisco inaugurato nel 1873.
Da quel periodo fino alla Seconda Guerra Mondiale il jeans rimane esclusivamente un abito da lavoro. La svolta arriva dopo la fine del conflitto, quando il jeans si trasforma in capo da tempo libero.
È importante conoscere l’origine di un capo di uso così quotidiano, di come un semplice indumento sia riuscito a raggiungere chiunque: tutte le classi sociali, le età e i sessi.
La storia è importante e parte della sua importanza è anche data dagli errori che può insegnare al presente. Per questo motivo occorre sapere come, ognuno nel suo piccolo, può agire per far di questo capo d’abbigliamento qualcosa che si evolve nel tempo ed impara dai suoi errori.
Vi starete chiedendo : che errori ha commesso il denim?
“La quantità di acqua necessaria alla produzione di un paio di jeans è equivalente al fabbisogno di acqua per 100 giorni di vita di una persona che vive in occidente e di un anno di una persona che vive nel sud Sahara.”
Ecco la risposta. Per produrre un singolo paio di jeans è necessario impiegare 3.800 litri d’acqua e 18,3 Kw/h di energia elettrica. Alla fine del processo produttivo, un singolo pantalone in denim è colpevole di 33,4 kg di anidride carbonica.
La vera è domanda è: possiamo permettercelo?
Beh, direi di no. La produzione di jeans è di circa tre miliardi di pezzi l’anno ed equivale quarantadue miliardi di dollari annui.
Ogni persona, nel mondo, possiede circa sei paia di jeans, forse il capo più versatile che la storia moderna dell’abbigliamento abbia conosciuto.
La storia insegna anche che in media la realizzazione di un paio di jeans coinvolge circa 12 paesi.
Prendiamo ad esempio uno stabilimento in Tunisia dove il capo viene assemblato:
- Il cotone proviene dal Mali;
- Il blu indaco, che da il colore tipico del jeans necessario per la tintura, proviene dalla Germania;
- Il rame per la realizzazione dei bottoni viene dalla Namibia;
- Lo zinco per i bulloni viene dall’Australia;
- Le pietre necessarie per sbiadirli ad arte provengono dalla Turchia;
- La cerniera viene dal Giappone.
In un’era in cui supportare la produzione locale è fondamentale, davvero possiamo permetterci di finanziare industrie il cui solo scopo è il guadagno?
Negli ultimi anni, grazie a inchieste e documentari che denunciano le industrie fast-fashion, molte aziende hanno scelto di spingere maggiormente in direzione di una produzione di capi in denim più etica e rispettosa dell’ambiente e della salute dei lavoratori.
L’impennata di qualità dei materiali e delle tecniche di produzione ha sicuramente influito sul prezzo di questi capi.
La tentazione di risparmiare qualche euro deve lasciar posto al pensiero che alimentando questo mercato stiamo andando incontro a una autodistruzione del nostro ecosistema e anche noi di stessi esseri umani.
Le piccole imprese e i designer emergenti attenti all’ambiente non potranno mai competere con il prezzo di un capo realizzato in un seminterrato dalle mani di un bambino che non sa ne leggere ne scrivere.
Occorre riflettere sul proprio futuro e porgere uno sguardo caritatevole verso chi è meno fortunato di noi e non per questo merita di essere sfruttato per poterci permettere di comprare un capo in più.
Come noi, nel nostro piccolo, possiamo impegnarci? Ecco qualche consiglio:
– Scegliere brand etici che facciano dichiaratamente uso di materiale organico.
– Acquistare locale o comunque made in Italy.
– Lavare i jeans il meno possibile e a basse temperature, magari tenendoli rivoltati in lavatrice.
– Non buttare via il denim vecchio, rotto o inutilizzato. Ricorda l’origine del denim come materiale estremamente resistente e perfettamente riutilizzabile come materia prima.
Il jeans ha avuto il merito di superare le innumerevoli differenze sociali che caratterizzano il nostro mondo. Non possiamo più girarci dall’altra parte, i fatti sono oggettivi ed evidenti. Rendiamo giustizia ad un capo ricco e pieno di storia, onoriamolo, non permettiamo che ci distrugga.
Vieni a scoprire il nuovo mondo di Chirs Morin-Eitner: i suoi scatti “profetici”
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