La moda ha tra le sue caratteristiche l’essere temporanea. Rappresenta un’istante. E non tutti i brand sono bravi a sfruttare la fortuna derivante dal passaggio di un gusto fugace per un colore, un accessorio o un abito che fa, appunto, tendenza. Farewell Footwear va, invece, in questa direzione dal 2013, quando ha fondato la sua produzione su un solo capo, o meglio un’unica tipologia di scarpa: l’espadrillas. I suoi fondatori, Marta Bagante, Giulia Bison e Federico Grassi, amici tra i banchi della scuola di design, rispondono alle domande circa il perché si sono focalizzati sulla calzatura di questa stagione e sull’evoluzioni che prevedono per il futuro della loro realtà creativa.
Ragazzi, avete fondato Farewell Footwear nel 2013, come mai avete scelto questo nome per il brand?
Farewell è un gioco d’immaginazione: significa prendere due parole, metterle insieme, ottenerne una nuova e iniziare ad usarla per esprimere quello che facciamo. Farewell d’altronde è nato per evasione e significa dire addio a molte cose: alla noia, all’inverno, alle espadrillas vintage da cui tutto è partito. Alla fine è stato anche un congedo dal lavoro d’ufficio, alla ricerca della nostra strada.
Le vostre espadrillas sono una commistione di vintage e contemporaneo. In quali elementi emergono questi due aspetti?
La nostra ricerca si basa su accostamenti randomici di passato, presente e futuro. È normale quindi trovare riferimenti ad ambiti e dimensioni variegate che si manifestano nell’utilizzo di lacci ed inserti stravaganti ma anche forme e colori inusuali. Vintage e contemporaneo si uniscono quindi nel recupero di una tradizione artigianale “povera” che trova nuova vita con materiali innovativi e dettagli sartoriali.
Avete scelto di produrre delle collezioni unisex, è un adeguamento ai trend estetici del momento o è una risposta a una necessità personale?
L’idea è nata in realtà da una constatazione di fatto: le espadrillas sono un prodotto pratico, gender-less, amato da uomini e donne. Abbiamo voluto pensare alle nostre non come a un prodotto di moda ma piuttosto come a un oggetto di design, questa diversità nell’approccio creativo ci ha permesso di pensare alla scarpa come ad un prodotto unisex.
Come vi suddividete il lavoro durante la fase produttiva e come avviene quest’ultima?
Data la nostra formazione personale siamo tutti egualmente coinvolti nella fase creativa, ci piace lavorare in sintonia e fare brainstorming: il contributo di ognuno di noi è importante. Poi, per esigenze di ottimizzazione, è necessario spartirsi i compiti. Di solito solo uno di noi si reca in fabbrica per seguire la fase produttiva e gli avanzamenti sul campo, anche se è una delle parti più interessanti di questo mestiere.
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Oggi siamo in una fase di grandi rivoluzioni, i progetti per il futuro sono molti. Già da qualche tempo abbiamo messo in atto un importante cambiamento di rotta che coinvolge il posizionamento stesso del brand che si trasforma in made in Italy ed abbandona la sua natura pop democratica per diventare sempre più sartoriale. In termini di prodotto stiamo espandendo i nostri orizzonti: le espadrillas sono state un interessantissimo punto di partenza, che sicuramente non abbandoneremo in futuro ma siamo anche desiderosi di approfondirne alcune specificità. Ci stiamo concentrando sull’utilizzo delle corde applicate alla tomaia per dar vita ad una collezione più sperimentale e anche concisa. La sperimentazione sarà una costante per il nostro futuro, vogliamo accostare all’ambito calzaturiero anche altri “mondi” come il design (che è già una primaria fonte di ispirazione) con l’obiettivo, per la prossima stagione, di creare un oggetto iconico non necessariamente da indossare. Un vero pezzo di design.
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