– Anche WHITE subisce una flessione, così come l’ha registrata l’intero sistema moda in questo mese di giugno, nonostante il nostro grande sforzo abbia portato al salone presenze estere di qualità -. Questa è la prima dichiarazione rilasciata da Massimiliano Bizzi a conclusione dell’ultima edizione del salone da lui fondato nel 2000. Se infatti i visitatori esteri hanno tenuto i livelli dell’ultima edizione, quella di gennaio 2017, dove si sono sfiorati i diecimila visitatori, con +18% di buyer stranieri, quelli italiani sono calati del 12%, rispetto a giugno 2016.
Non è facile identificare con precisione le ragioni di questa contrazione che, a onore del vero, riguarda tutto il sistema. Quello che forse bisognerebbe ripristinare anzi, resettare, è l’intera costruzione del settore abbigliamento. “Fare moda” oggi sembra facile, nonostante l’economia in dissesto: ci sono troppi marchi, la cui qualità è spesso discutibile, troppi negozi, troppo di tutto. È oltremisura la moda stessa. Ci si improvvisa creativi, maestri artigiani o nuovi Margiela, ma la verità è che non c’è bisogno di novità, solo di capacità di giudizio. L’inedito è venuto meno nel momento in cui le barriere fisiche sono scomparse, ed è giusto così. Ciò che appare necessario è allenare l’occhio a essere consapevole, a fare una scelta. Quando Miuccia Prada nel 1988 presentò la prima collezione, tra un giubileo di critiche e poche ovazioni, così come quando, in un’altra epoca Coco Chanel creò il tubino nero per tutte le occasioni scioccando il mondo, poiché quel colore veniva usato solo in segno di lutto, si definì in entrambi i casi una nuova cultura della moda. Ma oggi a quanto pare non basta inventare e reinventarsi. Non sono solo i designer a doversi differenziare. Tutti, dalla stampa ai buyer, dovrebbero riscoprire un nuovo sistema moda, magari andando proprio contro corrente.
L’essenzialità. Di tutto il quadro, bisogna togliere, finché non si arriva a ciò che davvero conta, che vale. Anche quando si tratta di fiere come WHITE, in cui molti continuano, ed è necessario lo facciano, a credere. Non è certo questo calo a determinare il valore di questa realtà costruita in quasi vent’anni. Ma è lo stesso Bizzi a sollecitare una nuova coesione tra la manifestazione e gli altri attori del sistema: – Realisticamente mi auguro, soprattutto nell’interesse delle aziende, che tutti noi attori principali del fashion system possiamo incontrarci per intraprendere strategie comuni e fare sistema (…) prima che altre capitali della moda prendano il sopravvento -.
Oggi tempo e capitali sembra stiano andando a due velocità diverse: il primo si è liquefatto nell’infinito, il secondo è più concreto e presente che mai a livello di necessità. Non ci si ferma più a parlare con i creativi, con le aziende, si tira dritto, tanto c’è il comunicato. E, a livello di potere d’acquisto, guai a usare la seta, è troppo costosa e allora largo ai tessuti sintetici, più economici e posizionabili negli store. Attenzione però a confondere una nuova idea di moda con la nostalgia di quella precedente, impossibile da realizzare ancora. Erano altri tempi, bisognerebbe cercare di capirlo, anziché continuare a ricordare ciò che è stato. Oggi a scontrarsi sono la voglia di realizzarsi in un settore che ha illuso proprio su questo aspetto – non tutti posso essere imprenditori di se stessi in questo ambiente -, e un mercato senza soldi, almeno per quanto riguarda quello occidentale. Negli anni ’80 e ’90 non era così, non a caso i marchi italiani e non che ancora dicono la loro, sono per lo più sorti in quel ventennio.
Sfilate, nuovi format, come Showroom connection @WHITE, un progetto ponte – con asset di marketing e di comunicazione dedicati – che mette in connessione i marchi, le showroom e i compratori che, così, possono visionare gli highlights in fiera e poi approfondire il discorso nella sede dedicata dei brand, e uno sviluppo delle special area di cui una dedicata allo scouting, la WOW, l’International Scouting Area che ha portato alla ribalta un gruppo di designers come Arrabal, Frolov, The Am Crew, Heliot Emil, Hymski, LAT, Letasca, Muet, Sobec Rebuild, Julia Seemann, sono invece i punti forti dell salone di moda contemporary con sede in via Tortona a Milano. Dunque, nonostante l’edizione di settembre sia da sempre quella più completa, sperimentale (e di successo in termini di pubblico), anche quella di giugno 2017 ha sviluppato rispetto agli anni precedenti nuovi valori su cui puntare.
Qual è dunque la strada giusta? Saranno i mesi successivi a dirlo. Rimane certo che sarà possibile continuare a lavorare proponendo di volta in volta delle novità importanti solamente se le aziende sopravvivono e per farlo sono necessari i buyer, compresi quelli italiani.
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