La moda è una corrente estetica temporanea e infinita allo stesso tempo, che ci viene imposta davanti agli occhi ogni giorno. È qualcosa che si crea e si distrugge per poi rigenerarsi, come un vortice. Lo stile è ben altra faccenda. Al di là delle facili e abusate citazioni in merito, possiamo definire quest’ultimo elemento come un tratto non solo dell’apparire agli altri, ma anche verso e attraverso noi stessi. Un movimento interno alla nostra vita dunque, che non riguarda solo il vestire, ma anzi e sopratutto, riveste per l’individuo un ingrediente imprescindibile che lo rende vero, reale. Ed è da quest’ultima parola che si può ricostruire la collezione uomo per la prossima estate firmata Massimo Alba, presentata all’ultima edizione di Pitti a Firenze.
“Siamo tutti uguali nella nostra convinzione – che teniamo segreta al resto del mondo – di essere diversi da chiunque altro”. Questo passaggio di Infinite Jest scritto da David Foster Wallace, una delle opere più importanti del ‘900, è il fulcro su cui si basa il processo di creazione degli abiti proposti da Alba. – Sento Wallace vicino perché nei suoi libri – nella sua vita – ha fatto tutte le domande giuste – e una in particolare mi colpisce. Cosa significa vivere nel nostro tempo? Cos’è, in un mondo dove tutti i media non ci lasciano tregua, mai, la solitudine? Come possiamo accogliere realmente gli altri, nelle nostre vite? -. Così dichiara il creativo. Dunque anche il tempo è uno di quei fattori imprescindibili per conoscere se stessi, per realizzarsi come individui, per creare il proprio stile. Certo, rifugiarsi in un romanzo sarebbe troppo facile, la vita qui fuori è aspra, dura. Ma quando si fa un mestiere come quello di Massimo Alba, l’urgenza di nutrirsi di cultura è fondamentale per realizzare qualcosa di concreto e, nel suo caso, di unico.
Ciò che colpisce ogni volta che lui realizza una nuova collezione è il suo essere straordinaria pur rimanendo versatile e indossabile da chiunque apprezzi la qualità e abbia, di nuovo, uno stile (di vita) speculare a quello che il designer dal 2006, anno in cui ha fondato il suo eponimo marchio, sta costruendo. Tra i numerosi motivi ne esiste uno in particolare che è doveroso evidenziare, quello di sperimentare costantemente.
– Sono andato a curiosare in una vecchia cartella di colori inglese per questa nuova collezione: ecco allora l’idea di creare una gabardine pesante, lavata fino a creare rotture per darle un po’ di patina, prendere un materiale abbastanza pesante, consistente, vero, e lavorarlo nei colori della tradizione -. Così Alba descrive come è iniziata la realizzazione dei nuovi capi maschili. – L’Impermeabile in Panama abbiamo cercato di sovrattingerlo con una specie di gesso, un colore materico, opaco: mi sembra bellissimo, ho tenuto un campione che guardo e riguardo quando sono nel mio studio. (…) Le giacche sono prive di qualsiasi struttura interna, le ho completamente svuotate, sono state pensate come giacche alle quali è stato tolto l’interno – non sono giacche-camicie, sono giacche-giacche. La parola “destrutturato” non mi piace perché “destrutturato” mi fa pensare che manchi qualcosa, invece le mie giacche una struttura ce l’hanno – semplicemente, è diversa da tutte le altre -. Prosegue così il designer che in passato è stato direttore creativo di marchi come Malo e Agnona.
“È difficile notare quello che vedi tutti i giorni”. Questa è un’altra frase dell’opera di Wallace che sarebbe doveroso sottolineare, e probabilmente Massimo Alba l’ha fatto. Ed è forse da questo movimento che si potrebbe definire il mondo del creativo: in apparenza i suoi abiti sono “comuni”, senza loghi vistosi, non seguono i trend. Il punto è che non gli interessa. Non si cura di essere tra i tanti vagoni di questo treno senza meta che è la moda. Lui vuole fare, creare, il suo quotidiano. Per le persone. Ecco perché queste creazioni sono (a)generazionali, infinite.
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